Durante la seconda guerra mondiale molti governi, organizzazioni e individui collaborarono con le potenze dell'Asse "per convinzione, disperazione o sotto coercizione".[1]
I nazionalisti a volte accolsero le truppe tedesche o italiane vedendoli come liberatori dalla colonizzazione. I governi della Danimarca, del Belgio e della Francia di Vichy cercarono di negoziare con gli invasori nella speranza di mitigare i danni ai loro cittadini ed economie. Alcuni Paesi collaborarono con l'Italia e la Germania perché volevano riconquistare i territori persi durante e dopo la prima guerra mondiale. Altri, come la Francia, avevano già in crescita un proprio movimento fascista in crescita o un sentimento antisemita, che gli invasori rafforzarono. Individui come Hendrik Seyffardt nei Paesi Bassi e Theodoros Pangalos in Grecia videro nella collaborazione una via verso il potere politico personale. Altri credettero che la Germania avrebbe prevalso e cercarono di trovarsi dalla parte dei vincitori per il timore di essere tra i perdenti.
Le forze militari dell'Asse reclutarono molti volontari, a volte sotto la minaccia delle armi, più spesso con promesse poi non mantenute, oppure arruolarono i prigionieri di guerra che cercavano di sfuggire alle terribili condizioni dei campi di detenzione. Altri volontari aderirono perché convinti delle ideologie naziste o fasciste.
Stanley Hoffman nel 1968 usò il termine "collaborazionista" per descrivere coloro che collaborarono per motivi ideologici.[2] Anche Bertram Gordon usò i termini "collaborazionista" e "collaboratore" per distinguere tra la collaborazione ideologica e non ideologica.[3] "Collaborazione" descrive la cooperazione, a volte passiva, con una potenza vincitrice.[4] Stanley Hoffmann differenziò la collaborazione involontaria, considerata alla pari di un riconoscimento riluttante della necessità, e volontaria, opportunistica o avida, nonché il collaborazionismo "servile", che cerca di essere utile, e "ideologico", che sostiene a gran voce l'ideologia dell'occupante.